ponti // Il degrado dei ponti

Ponte de l’Osmarin, 06/2003.

Ponte de l’Osmarin.

Per molti secoli Venezia fu un insieme di isole unite solo da traghetti o passerelle in legno. A partire dal diciottesimo secolo, e in modo massiccio nel diciannovesimo, questi manufatti furono sostituiti con ponti in pietra o in ghisa. Infatti, l’acqua nella quale era solitamente immerso, l’umidità dell’atmosfera, le muffe e la presenza di insetti xilofagi limitavano la durata del legno che, per le strutture più esposte come i ponti, non andava oltre i tre decenni. Anche per i ponti, quindi, come già era accaduto per edifici e muri di sponda, arrivò il momento di scegliere i materiali da costruzione in funzione della durabilità e non del mero costo di edificazione che, nel caso del legno (facile da reperire, trasportare, lavorare), sarebbe stato più economico.

Ponte di San Girolamo.

Anche i ponti in pietra, però, sono sottoposti a processi di degrado: distacco d’intonaco dalla superficie inferiore della volta, disallineamento delle armille, crepe, perdita di consistenza. Quando il deterioramente è irreparabile, il ponte viene ricostruito del tutto, come nel caso, ad esempio, del ponte de l’Osmarin e del ponte dei Greci. Sopra la superficie curva della cèntina (l’armatura di sostegno in legno che ricalca fedelmente la volta del ponte demolito) vengono allineate le armille in pietra per poi procedere alla costruzione della volta in mattoni. Quando non esistono percorsi alternativi nelle immediate vicinanze, si sopperisce alla viabilità interrotta con la formazione di ponti di servizio provvisori.

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